L'abuso del diritto
1.
Cos’è l’abuso
del diritto
Per abuso del diritto si intende un
irrispettoso e scorretto esercizio di un potere o di una facoltà da parte di un
soggetto che agisce al fine di conseguire risultati indebiti.
In materia tributaria, il divieto
di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che
preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante
l'uso distorto, sebbene non contrastante con alcuna specifica disposizione, di
strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio di
imposta, in assenza di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino
l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici (Cass. 11 maggio
2012, n. 7393).
2.
Evoluzione
storica dell’istituto
Art. 10 Legge 29 dicembre 1990, n. 408. L’introduzione di questa norma di legge permette
all’amministrazione finanziaria di negare il conseguimento di vantaggi
tributari in specifiche operazioni (concentrazione, trasformazione, cessione
d’azienda, ecc.) eseguite al solo scopo di ottenere “fraudolentemente” un
risparmio d’imposta, senza evidenti e valide ragioni economiche.
La norma appare estremamente
limitata a determinate situazioni ed operazioni e di conseguenza facilmente
aggirabile, e inoltre attribuisce un’erronea accezione penalistica
all’istituto, rinvenibile nell’uso del termine “fraudolentemente”.
Art. 37-bis D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. La norma permette di ricomprendere tra gli atti inopponibili
all’Amministrazione Finanziaria non solo quelli privi di valide ragioni
economiche che hanno come obiettivo quello di ottenere un risparmio d’imposta,
ma anche tutte quelle operazioni (limitate a determinati ambiti) che poste in
essere permettono di aggirare le disposizioni previste dall’ordinamento
tributario.
Seppur globalmente applicabile a
più fattispecie di situazioni elusive della normativa tributaria, anche le
disposizioni antielusive previste dal suddetto decreto, risultano inadatte ad
individuare in maniera specifica le condotte abusive in quanto applicabili solo
a determinati ambiti e situazioni.
Art.10-bis Legge 27 luglio 2000, n. 212 (“Statuto del
contribuente”). L’articolo
definisce l’abuso del diritto come “una o più
operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle
norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti” (comma 1). La norma definisce in maniera
più globale e generica l’istituto, rendendolo applicabile a più fattispecie di
situazioni, ed accomunandone il concetto a quello di elusione fiscale.
3.
Caratteristiche
e presupposti della condotta elusiva/abusiva
L’art 10-bis dello Statuto del
contribuente individua le operazioni c.d. abusive in fatti, atti e contratti privi
di sostanza economica idonei a produrre vantaggi fiscali indebiti(comma1).
Viceversa, non costituiscono operazioni abusive, tutte le operazioni
giustificate da ragioni extrafiscali non marginali (comma 3).
Possiamo dunque individuare tre
presupposti tipici ed essenziali di una condotta abusiva:
1. - Realizzazione
di un vantaggio indebito, e cioè in contrasto con le finalità delle norme tributarie, ma rispettandole formalmente (in quanto in caso contrario saremmo
di fronte a un caso di evasione fiscale, penalmente perseguibile);
2. - Assenza di
sostanza economica delle operazioni poste in essere;
3. - Conseguimento
di un vantaggio fiscale.
La verifica della compresenza dei
tre presupposti appena elencati comporta la classificazione della condotta
esaminata come elusiva, a meno che non si riscontrino motivazioni extrafiscali,
organizzativi o gestionali determinanti e cioè che influenzano positivamente
l’assetto strutturale o funzionale dell’attività d’impresa o professionale.
4.
Interposizione
fittizia e abuso
Il concetto di abuso del diritto,
come già detto in precedenza, coincide con il concetto di elusione, ed entrambi
si discostano pienamente dai concetti di evasione, simulazione e frode.
L’elusione o abuso del diritto
prevedono una perfetta coincidenza tra ciò che le parti dichiarano di voler
ottenere e realmente desiderano e mettono in pratica per poter ottenere il
risparmio indebito, ma sperato d’imposta.
Concetto opposto risulta essere
quello della simulazione dove si contrappone la volontà dichiarata dalle parti
con l’obiettivo reale delle parti. Possiamo avere casi di:
- - simulazione
assoluta in cui le parti pongono apparentemente in essere un negozio, ma poi di
fatto non hanno intenzione di farlo;
- - simulazione
relativa in cui le parti vogliono compiere una specifica tipologia negozio ma
apparentemente realizzano un negozio di tipologia differente.
Appartenente a questa seconda categoria
di simulazione è il fenomeno dell’interposizione fittizia, e cioè
l’intestazione di rapporti giuridici ad un soggetto (interposto) differente
dall’effettivo contraente (interponente), con il solo scopo di nascondere
quest’ultimo nella sfera del quale si produrranno gli effetti del negozio.
In ambito tributario, l’istituto è
regolato dall’articolo 37, 3 comma, del D.P.R. 600/1973. L’Amministrazione
finanziaria, la quale è parte del rapporto obbligatorio, ha l’onere di provare,
anche mediante presunzioni “gravi, precise e concordanti” che il reddito è da
imputare all’effettivo possessore e non all’interposto.
A differenza di una condotta
abusiva, la quale prevedere la messa in atto di comportamenti privi di sostanza
economica, ma comunque esistenti fattivamente, l’interposizione fittizia
risulta essere un comportamento evasivo e dunque perseguibile penalmente, a
causa della simulazione e dell’effettiva inesistenza del rapporto messo in atto.
5.
Esempio
pratico: sentenza CTP Padova 48/1/2019
Un recente caso discusso dalla
Commissione Tributaria Provinciale di Padova riguarda l’acquisto di azioni
proprie da parte di una società, affrancati dall’azionista cedente.
L’Amministrazione finanziaria
rileva una condotta abusiva, in quanto si presume possa in realtà nascondersi
dietro l’acquisto una distribuzione di utili nei confronti dello stesso azionista.
La Ctp competente evidenzia in
primis la necessità di verificare se si tratta di un illegittimo risparmio
d’imposta o in caso contrario, se il contribuente ha semplicemente scelto il
negozio per lui meno oneroso e dunque si configura un legittimo risparmio.
Successivamente, sottolinea che se si fosse voluto dissimulare una
distribuzione di dividendi con l’acquisto di azioni proprie, ci saremmo
imbattuti in un caso di evasione fiscale, con il quale si voleva sostituire un
negozio giuridico ritenuto illegittimo con un altro invece ritenuto legalmente
attuabile; ma così non è!
La Commissione dunque considera
l’acquisto come perfettamente legittimo e assolutamente non abusivo, in quanto
non si consegue un vantaggio fiscalmente illegittimo.
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