L'imposta di donazione nel patto di famiglia


Il patto di famiglia è un istituto giuridico introdotto in Italia con la legge n. 55/2006, il quale disciplina il trasferimento dell’azienda o di una o più quote societarie dall’imprenditore, ai suoi discendenti. Il fine di tale istituto è quello di garantire la continuità aziendale nel momento critico del passaggio generazionale, impedendo l’insorgere di problematiche in sede di eredità che potrebbero compromettere l’azienda e il suo assetto gestionale/amministrativo.

Il patto di famiglia è quindi un contratto (“trattasi di un atto inter vivos, con effetti traslativi immediati dell'azienda, la cui particolare disciplina si discosta vistosamente dalle regole generali successorie”) da stipularsi nella forma di atto pubblico, pena la nullità. 

La disciplina del patto di famiglia prevede che i beneficiari o assegnatari dell’azienda o di una quota del capitale societario liquidino agli altri partecipanti non assegnatari una somma in denaro corrispondente alla quota in denaro o in natura che gli sarebbe spettato in caso di apertura di successione dell’imprenditore.

Per quanto attiene gli aspetti fiscali si applica la disciplina delle donazioni e successioni a coloro che hanno partecipato alla stipulazione del contratto istitutivo del patto ma non siano assegnatari. In tal caso, la disciplina distingue a seconda che si tratti:

-          di liquidazione della quota in denaro o in natura;

-          di mera corresponsione di denaro;

-          di rinuncia alla liquidazione della quota.

La Cassazione con ordinanza n.32823 del 19.12.218 ha stabilito che l’attribuzione che il figlio beneficiario effettua a favore dei fratelli, o altri soggetti non assegnatari, deve essere considerata come donazione e pertanto deve essere applicata sulla stessa l’aliquota del 6% per un valore che superi i 100.000 euro.

Nel caso sottoposto alla Corte la somma corrisposta era stata tassata al 4%,

(per giunta con limite di un milione); ovvero come una donazione tra padre o madre e figlio anche se indiretta.

 I Giudici non hanno condiviso e hanno pertanto convenuto che la somma corrisposta venisse intesa come una vera e propria donazione tra fratelli (e non tra genitore e figlio), quindi tassata al 6%.

Il punto critico dell’interpretazione della decisione della Suprema Corte è che la donazione è soggetta ad un’aliquota di tassazione e ad una franchigia più alte perché sono disposizioni unilaterali e soprattutto che tendono ad arricchire il donatario.

Nel patto di famiglia le somme attribuite, che nel caso di specie riguardavano dei fratelli, comportano intanto una rinuncia (quindi un obbligo di non fare) alle azioni di riduzione verso il beneficiario determinando, quindi, un arricchimento al quale fa da contraltare la rinuncia ad un bene (l’azienda che entra nel patto di famiglia).

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