Innovazione tecnologica e disoccupazione
Proviamo ad affrontare il tema della tecnologia e della disoccupazione nel lungo periodo.
Nel lungo periodo, perché nel breve periodo i fattori di produzione sono generalmente considerati fissi, mentre possono variare nel medio lungo.
Richiamando concetti noti: quindi, per una possibile funzione di produzione dove Y = f (K,L,A,) o per meglio dire con L = N avremo Y = f (K, AN), da cui si può ricavare, trascurando per un secondo K, che Y = AN e quindi che N = Y/A (dove A è la tecnologia e anche la produttività del lavoro A=Y/N); e visto che N = Y/A è facile comprendere che per un dato valore di output (Y), se aumenta la produttività A diminuisce N (cioè gli occupati). Quindi se la produttività è espressione della tecnologia e se l’incremento della tecnologia fa aumentare la produttività, allora per un dato livello di prodotto l’incremento della produttività richiede meno lavoratori.
Una corrente di economisti critici, che tuttavia esprime un comprensibile e perfino condivisibile apprezzamento per la tecnologia, ritiene che l’incremento della produzione possa passare per una crescita dell’innovazione, incorporata nel capitale, spingendo in alto la produttività e quindi la produzione a parità di lavoro impiegato. Come a dire: non è vero che l’aumento della tecnologia e quindi della produttività si debba ripercuotere sull’occupazione.
Per farlo ricorrono a questa spiegazione e a questa rappresentazione grafica:
Il ragionamento che fanno questi economisti è il seguente: nel lungo periodo la tecnologia, incorporata - aggiungo io - nel capitale, può far variare la quantità di prodotto attraverso un maggiore impiego di un fattore senza dover ridurre l’altro fattore. Pur trascurando la critica che è impossibile aumentare un fattore lasciando fermo l'altro, il grafico ci mostra che si passa da K0 a K1 e che l’incremento di capitale tecnologico fa aumentare Y a parità di L.
In questo modo si vuol provare a sostenere che l’aumento della produttività si può realizzare grazie alla tecnologia a parità di lavoro impiegato.
In effetti la tecnologia ha consentito e consentirà in futuro grandi aumenti di produttività; dubito però che questi incrementi di produttività possano essere fatti senza ridurre l’occupazione.
Se scendiamo dal generale al particolare e andiamo nel conto economico della singola industria (o nel conto economico di un particolare settore industriale esposto alla concorrenza) possiamo vedere che la determinazione dei costi di produzione è chiaramente influenzata dall’aumento del fattore K ipotizzato nel grafico. Infatti, per C = pK * K + pL * L il costo di produzione C aumenta all’aumentare della quantità del fattore K immesso nel processo produttivo. E del resto è intuitivo che l’acquisto di un macchinario produce un aumento dei costi di produzione per ammortamenti e oneri finanziari. L’impresa penserà di poter recuperare i costi derivanti dall’investimento grazie all’incremento dei ricavi, legati alla vendita di una maggiore quantità di prodotto. Ma se l’impresa è in un settore fortemente esposto alla concorrenza non sarà facile agire sull’aumento della quantità venduta e non sarà facile generare aumenti di prezzi.
La speranza per la nostra impresa è di aver conseguito, tramite l’innesto di capitale altamente tecnologico, un vantaggio competitivo talmente forte da poter essere una impresa leader o innovativa e quindi di poter indirizzare sia le vendite che i prezzi.
Se così non fosse, e in mercati integrati a livello internazionale è spesso difficile riuscire ad essere dei completi innovatori, e se pertanto ci trovassimo di fronte ad una impresa che nonostante l’investimento non riesce ad adeguare la quantità venduta all’incremento di quantità prodotta e magari non riesce neanche ad aumentare il prezzo di vendita del proprio prodotto, avremmo che per un prezzo normalmente dato da P = Cu * (1 + markup), se il prezzo non può aumentare, non possono aumentare le quantità vendute e quindi il profitto complessivo resta invariato, mentre aumentano i costi per l’investimento realizzato, la nostra impresa avrà quale unica via di uscita quella di ridurre il markup o i costi complessivi o nella migliore delle ipotesi entrambi. E se riduce i costi, avendo aumentato la quantità prodotta e non potendo dismettere il macchinario, si troverà a dover ridurre i costi del personale.
In che modo? O riducendo il numero degli occupati o riducendo il costo complessivo a parità di occupati e quindi ricorrendo al lavoro precario.
Ecco fatto che la tecnologia a livello di impresa e di settore e pian piano anche di intera economia produce un effetto spiazzamento: ovvero gli incrementi di produttività saranno realizzati a svantaggio del numero degli occupati o delle loro retribuzioni.
Ed è quello che sta accadendo da anni nei paesi sviluppati.
Commenti
Posta un commento